mercoledì 22 aprile 2015

Alla Turchia con furore





Un uomo saggio impara da una domanda sciocca più di quanto uno sciocco possa imparare da una risposta saggia. Potrebbe sembrare il pensiero di qualche filosofo ellenico che ha vissuto tutta la sua esistenza a ponderare sugli umani destini dall'alto del suo eremo nascosto ed inaccessibile. Questa massima, invece, appartiene a Bruce Jun Fan Lee (Lǐ Xiǎolóng, nato a San Francisco il 27 novembre del 1940 e mancato a Hong Kong il 20 luglio del 1973) che è famosissimo in tutto il mondo per essere stato un attore, atleta di arti marziali, filosofo, regista, sceneggiatore e produttore statunitense di origini cinesi. I lettori di una certa età lo ricorderanno per le sue acrobazie nei film “L'urlo di Chen terrorizza l'Occidente”, “Il furore dalla Cina colpisce ancora”, “Dalla Cina con furore”. Mancato, come detto, nel lontano 1973 mai avrebbe pensato di poter essere tirato in ballo per una questione d'immigrazione, proprio lui che ha spesso vissuto lontano dalla sua Patria d'origine. La domanda sciocca che nasce dall'ennesima tragedia del mare, carneficina di poveri diavoli sfruttati da criminali assassini senza scrupoli, nasce da una dichiarazione del nostro Ministro degli Interni secondo il quale l'Italia dovrebbe affondare i barconi della morte mentre sono ancora vuoti. Alla luce di questa presa di posizione vorrei capire se intende mandare la nostra Marina in Turchia, nazione dalla quale vengono acquistate la maggior parte di questi agglomerati di ferraglia rugginosa (che, chissà perché, mi ricorda tanto un Paese come l'India... Marò docet), rovinare i fondali delle sue coste, ingaggiare scontri a fuoco con la locale malavita organizzata (ben radicata come la nostra e visto che non si riesce a stroncare Cosa Nostra...) con o senza il permesso turco e in quest'ultimo caso facendo delle semplici azioni terroristiche, mandando all'aria tutta la retorica filosofica del concetto di polizia internazionale e di lotta all'eversione che giunge dai territori arabi. La risposta saggia che si deve dare a questa domanda è NO. Tuttavia, la presa di posizione del Ministro dell'Interno è molto, molto simile a quella del segretario della Lega Nord, Salvini, che prefigurava un blocco navale in mare aperto per impedire ai barcono l'accesso all'Europa. Che sia un segno materiale che l'intesa tra Tosi (ex-Lega) e Alfano (ex-FI) stia facendo nascere una nuova ed inaspettata contaminazione ideologica? Chissà qual è la “saggia risposta” di cui parlava Bruce Lee... 

sabato 11 aprile 2015

La Gazzetta di Hogwords: Il KLO in lotta contro il centralismo indiano

La Gazzetta di Hogwords: Il KLO in lotta contro il centralismo indiano: Prosegue indomita la guerriglia delle minoranze Koch e Rajbongsi Una guerriglia tribale alleata con i ribelli dell’Assam ...

Il KLO in lotta contro il centralismo indiano





Prosegue indomita la guerriglia delle minoranze Koch e Rajbongsi
Una guerriglia tribale alleata con i ribelli dell’Assam

L’Assam, un vero e proprio mosaico di etnie e tribù forzatamente tenuto all’interno dell’Unione indiana, continua ad essere teatro di guerriglie e di ribellioni armate che ben dimostrano come questo piccolo territorio del Nord Est indiano rappresenti una vera e propria spina nel fianco per i governi di New Delhi. Governi che, siano essi a guida dei nazionalisti del BJP o dei progressisti del Partito del Congresso, non prendono affatto in considerazione l’idea di restituire l’indipendenza ai popoli dell’Assam, che non sono hindu, che non parlano l’hindi, che non credono nelle religioni dell’induismo e che non sopportano il dominio centralista di New Delhi. Così, l’unico modo che queste minoranze etniche possiedono per fare sentire la loro voce, è quello di impugnare le armi e condurre spietate guerriglie contro le truppe di occupazione indiane che rappresentano l’elemento più odiato del dominio di New Delhi sulle terre assamesi. Nella regione a cavallo tra l’Assam e il Bengala Occidentale è attivo dal 1995 il Kamatapur Liberation Organization (Klo), ovvero l’Organizzazione di Liberazione Kamatapur, formata da membri delle etnie tribali Koch e Rajbongsi, i quali lottano per ottenere l’indipendenza dal governo centrale indiano e costituire lo stato del Kamatapur. La nascita del movimento guerrigliero Klo fu subito duramente avversata dalle truppe indiane: alle loro prime azioni armate contro postazioni dell’esercito indiano, questo rispose con rappresaglie e bombardamenti sulle aree rurali dove i ribelli avevano le loro roccaforti.
Le prime colonne armate del Klo erano formate da poche decine di ribelli, sotto la guida di Raju Baruah e Ajit Kachari, i quali, prima di dare vita al Klo erano stati comandanti guerriglieri dell’Ulfa, il Fronte Unito di Liberazione dell’Assam, il più grande movimento armato assamese.
Fu dunque subito evidente che si rendeva più che mai necessaria una alleanza con l’Ulfa, più forte e meglio armato, alleanza che per il Klo era soprattutto una questione di sopravvivenza. Nel 1999, l’alleanza tra Ulfa e Klo era ormai più che consolidata: molte furono le azioni belliche intraprese congiuntamente dai due movimenti di resistenza, azioni che proseguono anche oggi, sotto la guida di Atul Nikhil Roy, capo carismatico e misterioso che è succeduto a Baruah e Kachari alla guida del Klo.
Quella che il Klo porta avanti nelle foreste dell’Assam e del Bengala Occidentale è una lotta durissima, sanguinosa, fatta di imboscate, agguati, attentati ai convogli di truppe indiane e ai posti di blocco che queste hanno dislocato nelle “aree calde” dove i ribelli dell’Ulfa e del Klo sono più operativi. I rastrellamenti e le rappresaglie contro le popolazioni delle aree tribali e rurali sospettate di appoggiare la lotta armata del Klo e dell’Ulfa sono spietati, ma così facendo le truppe indiane non fanno altro che suscitare sempre più odio anti-indiano tra le popolazioni di quelle terre, che vedono nei ribelli i loro unici difensori (anche se, occorre evidenziarlo, il Klo sottopone a “imposte forzate” le popolazioni coltivatrici di tè della regione di Doars, in Bengala, con le quali finanzia le sue attività guerrigliere, cosa di cui i rurali non sono certo molto contenti). Attualmente, i ribelli del Klo oscillerebbero tra i 500 e i 700, costituiti in gran parte da giovani tribali insofferenti della presenza delle truppe hindu sulle loro terre. Per contrastare efficacemente le periodiche offensive militari dell’esercito indiano, i ribelli del Klo, negli ultimi anni, hanno stretto forti rapporti di cooperazione militare con i ribelli Naga del vicino Manipur, numerosi, forti e bene armati, con cui hanno anche compiuto azioni militari congiunte. Ultimamente, gli sconfinamenti dei ribelli del Klo nel vicino Bhutan (per sfuggire alle rappresaglie delle truppe indiane) hanno provocato scontri anche con l’esercito bhutanese. Il re del Bhutan, il dispotico Jigme Singye Wangchuk, non tollera la presenza di guerriglieri anti.indiani nel suo regno e negli ultimi mesi le truppe bhutanesi hanno sferrato poderose offensive contro le bande del Klo rifugiatesi in Bhutan. L’offensiva avrebbe provocato circa 120 morti tra i ribelli, la distruzione di 19 campi guerriglieri e l’uccisione di 50 soldati bhutanesi. Una situazione drammatica, che ben rivela quanto sia pericoloso il problema del Nord Est indiano, dove interi popoli sono in lotta contro il centralismo dei governi di New Delhi. L’esempio del Bhutan dimostra che è una guerra che può sconfinare e propagarsi anche ai paesi vicini all’India, tanto da impensierire pure la Cina (che è buona alleata del Bhutan). Ma una cosa è certa: le popolazioni tribali dell’Assam e del Bengala Occidentale non possono rassegnarsi a sopportare passivamente il dominio brutale dell’India, e la guerriglia e la lotta armata restano le loro uniche possibili risposte di fronte alla sordità e alla ottusità dei governanti di New Delhi, i quali, nazionalisti o progressisti che siano, non vogliono affatto sentire parlare né di indipendenza né di autonomia per le turbolente popolazioni che abitano le stupende regioni del Nord est indiano.

Fabrizio Legger