Un
uomo saggio impara da una domanda sciocca più di quanto uno sciocco
possa imparare da una risposta saggia. Potrebbe
sembrare il pensiero di qualche filosofo ellenico che ha vissuto
tutta la sua esistenza a ponderare sugli umani destini dall'alto del
suo eremo nascosto ed inaccessibile. Questa massima, invece,
appartiene a Bruce Jun Fan Lee (Lǐ Xiǎolóng, nato a San Francisco
il
27 novembre del 1940 e mancato a Hong Kong il 20 luglio del 1973)
che è famosissimo in tutto il mondo per essere stato un attore,
atleta di arti marziali, filosofo,
regista,
sceneggiatore
e
produttore statunitense di origini cinesi.
I lettori di una certa età lo ricorderanno per le sue acrobazie nei
film “L'urlo di Chen terrorizza l'Occidente”, “Il furore dalla
Cina colpisce ancora”, “Dalla Cina con furore”. Mancato, come
detto, nel lontano 1973 mai avrebbe pensato di poter essere tirato in
ballo per una questione d'immigrazione, proprio lui che ha spesso
vissuto lontano dalla sua Patria d'origine. La domanda sciocca che
nasce dall'ennesima tragedia del mare, carneficina di poveri diavoli
sfruttati da criminali assassini senza scrupoli, nasce da una
dichiarazione del nostro Ministro degli Interni secondo il quale
l'Italia dovrebbe affondare i barconi della morte mentre sono ancora
vuoti. Alla luce di questa presa di posizione vorrei capire se
intende mandare la nostra Marina in Turchia, nazione dalla quale
vengono acquistate la maggior parte di questi agglomerati di
ferraglia rugginosa (che, chissà perché, mi ricorda tanto un Paese
come l'India... Marò docet), rovinare i fondali delle sue coste,
ingaggiare scontri a fuoco con la locale malavita organizzata (ben
radicata come la nostra e visto che non si riesce a stroncare Cosa
Nostra...) con o senza il permesso turco e in quest'ultimo caso
facendo delle semplici azioni terroristiche, mandando all'aria tutta
la retorica filosofica del concetto di polizia internazionale e di
lotta all'eversione che giunge dai territori arabi. La risposta
saggia che si deve dare a questa domanda è NO. Tuttavia, la presa di
posizione del Ministro dell'Interno è molto, molto simile a quella
del segretario della Lega Nord, Salvini, che prefigurava un blocco
navale in mare aperto per impedire ai barcono l'accesso all'Europa.
Che sia un segno materiale che l'intesa tra Tosi (ex-Lega) e Alfano
(ex-FI) stia facendo nascere una nuova ed inaspettata contaminazione
ideologica? Chissà qual è la “saggia risposta” di cui parlava
Bruce Lee...
mercoledì 22 aprile 2015
sabato 11 aprile 2015
La Gazzetta di Hogwords: Il KLO in lotta contro il centralismo indiano
La Gazzetta di Hogwords: Il KLO in lotta contro il centralismo indiano: Prosegue indomita la guerriglia delle minoranze Koch e Rajbongsi Una guerriglia tribale alleata con i ribelli dell’Assam ...
Il KLO in lotta contro il centralismo indiano
Prosegue indomita la
guerriglia delle minoranze Koch e Rajbongsi
Una guerriglia tribale
alleata con i ribelli dell’Assam
L’Assam,
un vero e proprio mosaico di etnie e tribù forzatamente tenuto
all’interno dell’Unione indiana, continua ad essere teatro di
guerriglie e di ribellioni armate che ben dimostrano come questo
piccolo territorio del Nord Est indiano rappresenti una vera e
propria spina nel fianco per i governi di New Delhi. Governi che,
siano essi a guida dei nazionalisti del BJP o dei progressisti del
Partito del Congresso, non prendono affatto in considerazione l’idea
di restituire l’indipendenza ai popoli dell’Assam, che non sono
hindu, che non parlano l’hindi, che non credono nelle religioni
dell’induismo e che non sopportano il dominio centralista di New
Delhi. Così, l’unico modo che queste minoranze etniche possiedono
per fare sentire la loro voce, è quello di impugnare le armi e
condurre spietate guerriglie contro le truppe di occupazione indiane
che rappresentano l’elemento più odiato del dominio di New Delhi
sulle terre assamesi. Nella regione a cavallo tra l’Assam e il
Bengala Occidentale è attivo dal 1995 il Kamatapur Liberation
Organization (Klo), ovvero l’Organizzazione di
Liberazione Kamatapur, formata da membri delle etnie tribali Koch
e Rajbongsi, i quali lottano per ottenere l’indipendenza dal
governo centrale indiano e costituire lo stato del Kamatapur. La
nascita del movimento guerrigliero Klo fu subito duramente avversata
dalle truppe indiane: alle loro prime azioni armate contro postazioni
dell’esercito indiano, questo rispose con rappresaglie e
bombardamenti sulle aree rurali dove i ribelli avevano le loro
roccaforti.
Le prime
colonne armate del Klo erano formate da poche decine di ribelli,
sotto la guida di Raju Baruah e Ajit Kachari, i quali, prima di dare
vita al Klo erano stati comandanti guerriglieri dell’Ulfa,
il Fronte Unito di Liberazione dell’Assam, il più grande
movimento armato assamese.
Fu dunque
subito evidente che si rendeva più che mai necessaria una alleanza
con l’Ulfa, più forte e meglio armato, alleanza che per il Klo era
soprattutto una questione di sopravvivenza. Nel 1999, l’alleanza
tra Ulfa e Klo era ormai più che consolidata: molte furono le azioni
belliche intraprese congiuntamente dai due movimenti di resistenza,
azioni che proseguono anche oggi, sotto la guida di Atul Nikhil Roy,
capo carismatico e misterioso che è succeduto a Baruah e Kachari
alla guida del Klo.
Quella
che il Klo porta avanti nelle foreste dell’Assam e del Bengala
Occidentale è una lotta durissima, sanguinosa, fatta di imboscate,
agguati, attentati ai convogli di truppe indiane e ai posti di blocco
che queste hanno dislocato nelle “aree calde” dove i ribelli
dell’Ulfa e del Klo sono più operativi. I rastrellamenti e le
rappresaglie contro le popolazioni delle aree tribali e rurali
sospettate di appoggiare la lotta armata del Klo e dell’Ulfa sono
spietati, ma così facendo le truppe indiane non fanno altro che
suscitare sempre più odio anti-indiano tra le popolazioni di quelle
terre, che vedono nei ribelli i loro unici difensori (anche se,
occorre evidenziarlo, il Klo sottopone a “imposte forzate” le
popolazioni coltivatrici di tè della regione di Doars, in Bengala,
con le quali finanzia le sue attività guerrigliere, cosa di cui i
rurali non sono certo molto contenti). Attualmente, i ribelli del Klo
oscillerebbero tra i 500 e i 700, costituiti in gran parte da giovani
tribali insofferenti della presenza delle truppe hindu sulle loro
terre. Per contrastare efficacemente le periodiche offensive militari
dell’esercito indiano, i ribelli del Klo, negli ultimi anni, hanno
stretto forti rapporti di cooperazione militare con i ribelli Naga
del vicino Manipur, numerosi, forti e bene armati, con cui hanno
anche compiuto azioni militari congiunte. Ultimamente, gli
sconfinamenti dei ribelli del Klo nel vicino Bhutan (per sfuggire
alle rappresaglie delle truppe indiane) hanno provocato scontri anche
con l’esercito bhutanese. Il re del Bhutan, il dispotico Jigme
Singye Wangchuk, non tollera la presenza di guerriglieri anti.indiani
nel suo regno e negli ultimi mesi le truppe bhutanesi hanno sferrato
poderose offensive contro le bande del Klo rifugiatesi in Bhutan.
L’offensiva avrebbe provocato circa 120 morti tra i ribelli, la
distruzione di 19 campi guerriglieri e l’uccisione di 50 soldati
bhutanesi. Una situazione drammatica, che ben rivela quanto sia
pericoloso il problema del Nord Est indiano, dove interi popoli sono
in lotta contro il centralismo dei governi di New Delhi. L’esempio
del Bhutan dimostra che è una guerra che può sconfinare e
propagarsi anche ai paesi vicini all’India, tanto da impensierire
pure la Cina (che è buona alleata del Bhutan). Ma una cosa è
certa: le popolazioni tribali dell’Assam e del Bengala Occidentale
non possono rassegnarsi a sopportare passivamente il dominio brutale
dell’India, e la guerriglia e la lotta armata restano le loro
uniche possibili risposte di fronte alla sordità e alla ottusità
dei governanti di New Delhi, i quali, nazionalisti o progressisti che
siano, non vogliono affatto sentire parlare né di indipendenza né
di autonomia per le turbolente popolazioni che abitano le stupende
regioni del Nord est indiano.
Fabrizio
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